riprogettare il futuro

Riprogettare il futuro: che cosa ce lo impedisce

La pandemia ha messo le nazioni, le istituzioni e le imprese di fronte all’esigenza di progettare nuovamente il futuro, dalle grandi traiettorie di sviluppo fino ai più minuti comportamenti quotidiani. 
Bisognerebbe riuscirci in fretta. Prima che l’economia vada definitivamente a rotoli. Prima che la rabbia e la paura prendano il sopravvento. Prima che in troppi si convincano che l’unica soluzione è l’”uomo forte”, chiunque sia l’uomo, e in qualsiasi cosa consista la sua “forza”. Prima che molti sprofondino in una depressione da assenza di prospettive. Bisognerebbe riuscire a riprogettare il futuro prima che l’assenza di alternative riporti tutti quanti, più indeboliti e più stanchi,  a provare a comportarsi come si comportavano in precedenza. Scoprendo subito che, poiché il contesto è cambiato, le cose vanno molto peggio che in precedenza. 

RIPROGETTARE IL FUTURO. Eppure, più urgente si fa il bisogno di avere piani ambiziosi e progetti concreti, più sembra difficile mettere a punto proposte convincenti, e vararle rendendole operative. 

C’è da chiedersi perché riprogettare il futuro appaia così difficile proprio ora che ce n’è più bisogno. E quando, almeno in apparenza, sembra che ci sia perfino un accordo sostanziale sulle direttrici del cambiamento: equità, sostenibilità ambientale e sociale, modernizzazione, inclusione… Dev’esserci, da qualche parte, un intoppo che non riusciamo a vedere. 

UNO SFORZO DI IMMAGINAZIONE. In realtà, gli intoppi possibili sono più di uno. E sono di natura assai varia. Potremmo provare insieme a identificarne qualcuno adesso, facendo un piccolo sforzo di immaginazione. 
Dunque, proviamo a immaginare un piccolo, eterogeneo gruppo di persone che è chiamato a decidere dell’efficacia di un piano per il futuro. Potrebbe trattarsi di un grande piano di cambiamento nazionale o supernazionale, ma anche di un più modesto piano di cambiamento aziendale. 

E diamo per scontato (dai, questa è un’ipotesi di scuola, e possiamo permetterci un pizzico di ottimismo preliminare) che si tratti di un buon piano, costruito bene. 

COM’È FATTO UN BUON PIANO. Diamo per scontato, cioè, che il piano contenga tutti gli ingredienti necessari: per esempio, una visione chiara e condivisibile. Una forte componente valoriale. Una buona analisi dei contesti, sostenuta dai dati robusti ed evidenze indiscutibili.

Diamo per scontato che gli obiettivi siano consistenti ed espressi in maniera comprensibile. Che esistano un’attenta valutazione delle risorse a disposizione, una realistica considerazione dei tempi e un’analisi di tutti i vincoli (situazionali, burocratici…). E poi: che siano definiti gli ambiti di intervento, le priorità, i rischi e le opportunità, i benefìci attesi. E che siano comprese tutte le indicazioni utili a procedere. 

CHIARO E ORDINATO. Diamo, infine, per scontato che tutto quanto sia espresso in maniera sufficientemente chiara e ordinata, compatibilmente con il fatto che, come (forse) diceva Einsteinogni cosa dovrebbe essere resa la più semplice possibile, ma non più semplice di così.
Bene: e adesso immaginiamo che cosa può andare storto.

POCO TEMPO. La prima cosa che comunque, e praticamente sempre, va storta è questa: per valutare il piano, verrà fatalmente impiegata una frazione infinitesima del tempo che c’è voluto per formularlo. Tipicamente, tra coloro che valuteranno il piano, chi più ha potere avrà anche meno tempo da investire per capire di che si tratta.

Difficilmente si farà mente locale su ciascuna delle proposte presentate. Difficilmente si analizzeranno i dettagli per capire quanto ogni proposta sia diversa o migliore di proposte analoghe fatte in precedenza. 
Risultato: alcuni, non avendo capito, faranno obiezioni sbrigative e del tutto incongruenti,  quindi difficilissime da contrastare entrando nel merito.

NIENTE DI NUOVO. Altri lamenteranno che non c’è niente di nuovo!, basandosi sul presupposto fallace che una proposta, per avere valore,  debba essere “nuova” nel senso di “inedita”. E non “nuova” nel senso di urgente, strategica, cruciale, (magari in relazione a un annoso problema) e mai messa in atto in precedenza. 

TUTTO ASTRATTO. Altri ancora, invece, lamenteranno che è tutto molto astratto! Ovvio: è così che funzionano la nostra mente e la progettualità. Prima si concepisce un’azione, poi la si esegue. La cosa da ricordare sarebbe che nulla di concreto può darsi che prima non sia stato immaginato e affinato, appunto, in astratto.

IMPAZIENZA & ASPETTATIVE. La seconda cosa che può andare storta è questa: molti faranno fatica a sospendere il giudizio fino a quando non avranno esaminato l’intero testo, comprendendolo bene.
Impazienza, presunzione, arroganza, narcisismo: c’è un sacco di “buoni” motivi per giudicare prima di capire fino in fondo. 

Inoltre, alcuni giudicheranno il piano solo in base a quanto corrisponde a quello che si aspettavano di trovarci. Altri, in base al fatto che nel piano si trovi o meno qualche rispondenza a un minimo, irrilevante (e spesso del tutto incongruente) interesse individuale. 

CAMPATO PER ARIA. Altri esprimeranno un giudizio semplicemente campato per aria, per il solo fatto di non avere le competenze necessarie a fare di meglio, e di dover comunque giustificare la propria presenza nel gruppo preposto a giudicare. 
Altri ancora, e specie se competenti, giudicheranno il piano insufficiente semplicemente perché non l’hanno prodotto loro, e sono sinceramente convinti (troppo facile, in assenza di prova contraria) che avrebbero saputo far di meglio.

CHIACCHIERE. La terza cosa che può andare storta ha a che fare con l’idea che già attivarsi per formulare un piano volto a cambiare le cose basti a cambiare effettivamente le cose. 
In altre parole: che riprogettare il futuro coincida con il cambiare il futuro. Che il piano stesso sia non un passo preliminare, ma la soluzione. E che mettere poi effettivamente in atto quanto pianificato sia un dettaglio irrilevante. 
Poiché, anche in presenza del piano, le cose non sono (ancora) cambiate, ecco che è facile liquidare il piano medesimo come un mucchio di chiacchiere.

PROTAGONISMO. La quarta cosa che può andare storta è anche la più imbarazzante: c’è molto più protagonismo nel bocciare una proposta che nell’approvarla. Bocciando qualcosa ci si rende centrali nel dibattito e si conquista maggior visibilità a costo zero. E allora, perché non provarci?

IPOTESI OTTIMISTICA. La nostra ottimistica ipotesi di scuola prevede un piano di buona qualità, ma ovviamente non sempre le cose vanno così, e molti piani, specie se affrontano problemi complicati, sono carenti, raffazzonati o confusi. 
In questi casi, ovviamente, è molto più facile esprimere un giudizio negativo complessivo che entrare nel merito, salvare quel che c’è di buono e integrare o migliorare il resto. E quindi si ricomincia tutto da capo. E poi si ricomincia un’altra volta. E ancora, e ancora. In sostanza: ci si affanna molto, ma si gira in tondo.
Intanto, un pezzetto di futuro è già passato, e qualche finestra di opportunità si è già chiusa. 

3 risposte

  1. Gentile Annamaria Testa,
    sono (diventato) profondamente scettico su quello che potremo fare per riprogettare il futuro.
    Solo un esempio: la questione scuola al tempo del Covid.
    Due mesi fa (era aprile) presentammo una petizione al Ministro affiché almeno le ultime classi di ciascun ordine potessero rientrare e quindi testare il sistema di convivenza fra Covid e alunni / operatori.
    Sui miei social mi spesi per coinvolgere quante più persone, con grafici e paragoni con le altre nazioni, per “spingere” dal basso ad un cambiamento di mentalità.
    Riporto solamente un mio intervento pubblicato all’epoca su FB che evidenzia la frustrazione di chi vede un intero sistema rinunciare.
    “Cara Giovanna,
    io credo che la vera domanda da porsi è: quando la politica e noi adulti per prima, cominceremo a prenderci le responsabilità che ci competono?
    Personalmente non credo che Germania [https://www.thelocal.de/20200422/state-by-state-when-will-germanys-schools-open-again] o Danimarca [https://www.businessinsider.com/photos-denmark-children-returning-to-school-amid-coronavirus-lockdown-2020?IR=T ] o ancora Svezia [https://www.theguardian.com/world/commentisfree/2020/apr/21/sweden-covid-19-policy-trust-citizens-state ] siano più incoscienti nell’aver programmato, se non già avviato, un ritorno in classe e che considerano i loro ragazzi dei deficienti che non sanno mantenere la distanza di sicurezza.
    Viceversa leggo [https://www.ilpost.it/2020/04/25/sulla-scuola-non-ce-un-piano-ed-e-un-problema/] che in Italia stiamo cercando la perfezione, con un approccio ideologico da parte delle varie componenti (dirigenti, docenti, sindacati, politica, genitori, tecnici, psicologi etc.), però sempre a partire da un futuro che sia esente da rischi (qualcuno pensa che a settembre per incanto le infrastrutture scolastiche saranno a norma? la didattica a distanza sarà garantita per tutti, i bisogni dei ragazzi speciali soddisfatti? le paure indotte da segregazione e mascheramento dissolte? l’esigenza educativa appagata?).
    La mia idea, e qui chiamo Mariana che potrebbe investire gli organi superiori, è che non dobbiamo assolutamente regalare il periodo in cui il virus è meno aggressivo, l’estate, senza far niente (e magari pretendere poi di concentrarci su soluzioni nel periodo – ipotetico – in cui sarà più impetuoso cioè l’inverno).
    Dal 4 maggio potrebbero rientrare le ultime classi di ciascun ordine (fino al 9 agosto) in modo da sperimentare distanziamenti, didattica all’esterno delle aule, consigli sull’uso della DAD, tecniche di aerazione senza condizionatori d’aria etc.
    Un breve periodo di riposo e dal 24 agosto riprendere con tutte le classi per verificare che il sistema già sperimentato con pochi ragazzi tenga e non collassi in vista di una nuova possibile chiusura invernale.
    Si, mi rendo conto che è una sfida enorme, ma i tempi sono eccezionali e altre comunità l’hanno accettata.

    P.S. Trovo alquanto disturbante l’idea che intere coorti di giovani e di anziani (sono i nostri figli, i nostri genitori e i nostri nonni, diamine!) siano trattati sulla base del loro coinvolgimento o meno nel processo produttivo … invece di essere consapevoli che essi sono il nostro futuro e la nostra memoria.”
    La saluto caramente

  2. Tutti vorremmo avere sotto casa e l’area pedonale e il parcheggio. Molti desiderano la crescita economica, il reddito più alto, l’auto più potente, insieme all’ambiente incontaminato, il cibo genuino, le vacanze in paradiso. Anche se ciò non è possibile neppure con l’erba voglio è questo che ci viene promesso. Si tratta di scegliere fra alternative contrapposte, oppure di mediare. Animali buridanei non riusciamo a cogliere le priorità. Sì, vabbè l’ambiente, ma l’acqua esce dal rubinetto, la luce si accende, la pandemia è ormai un ricordo, possiamo procedere come prima, meglio di prima. Adesso chissenefrega, andiamo in vacanza, poi si vedrà. Soprattutto basta coi menagramo, affidiamoci a chi la sa più lunga, a chi grida di più. Nazioni, istituzioni e imprese come possono pensare a lunga scadenza, guardare al domani nostro e dei nostri figli, se non sanno guardare all’oggi, se mancano totalmente di una visione che non sia la becera e interessata continuazione del presente senza storia e senza futuro?
    Ma non è solo questo, risultato di una classe politica di avventizi (A questo proposito segnalo questa saggia valutazione del piano Colao: https://blog.cinziascaffidi.com/blog/riprovi-alla-prossima-sessione/?fbclid=IwAR1j6zf0p-ZNMtuqBOFnP76nuKo00X85OCynlzQEcXomVKjnBl10RgBa7YU
    Molte scelte, fondamentali, sono già state compiute e sono perseguite in modo ferreo. Chi davvero decide ha già deciso. So, Annamaria, che probabilmente non condividi questa affermazione. Eppure avevamo vent’anni quando già sapevamo. Il problema ambientale è così abnorme che piuttosto che affrontarlo è preferibile rimuoverlo. Meglio essere consumatori felici e vivere sempre nel presente.

  3. Sulla programmazione del futuro può essere utile una riflessione sull’esperienza dei piani urbanistici. Sono stati utili – anzi indispensabili – nell’Ottocento e all’inizio del Novecento, poi basta. Se si guardano i piani degli anni ’50 e ’60, c’è da ringraziare il cielo che non si siano attuati. Oggi siamo in epoca di TINA, ovvero there is no alternative. Il progetto di futuro è sparito da tutti i dibattiti perché si sono fatti troppi errori in passato.

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