solitudine

Solitudine, quanti danni porti con te

La solitudine è in crescita e ci sta letteralmente uccidendo, afferma un recente articolo di Scientific American. Da un quarto a metà degli statunitensi soffre di solitudine per la maggior parte del tempo. Il sentirsi soli (la cosa è già stata ampiamente dimostrata) ha ripercussioni non soltanto sulla stabilità mentale, ma anche sulla vulnerabilità nei confronti di una serie di malanni anche gravi. E sulla durata media della vita.

VECCHI E GIOVANI. La sensazione di solitudine oggi – è sempre Scientific American a segnalarlo – affligge soprattutto i maggiori di 65 anni e i minori di 25 anni. È un fatto che suggerisce quanto ampi potrebbero essere i vantaggi di favorire maggiori scambi intergenerazionali.  

PIÙ ALTRUISTI, MENO SOLI. Un’altra buona strategia è incoraggiare il volontariato. Una ricerca dell’università di Oxford ci offre un dato non così sorprendente come potrebbe apparire. Le vedove anziane (categoria a massimo rischio di solitudine) che fanno volontariato per due ore o più ogni settimana si rimettono in pari, in termini di soddisfacenti rapporti sociali, con chi continua a vivere con un coniuge. Insomma: essere altruisti fa star meglio, allunga anche la vita e le dà, o le restituisce, un senso.

SOLI E SILENZIOSI. Il problema della solitudine sembra grave anche nella Gran Bretagna della Brexit. Una ricerca governativa ha addirittura scovato 200.000 anziani che non avevano avuto una singola conversazione con un parente o un amico nel mese precedente.

IL MINISTRO BRITANNICO. Il dato complessivo nazionale è apparso così preoccupante da dare luogo, nel 2017, al varo di una campagna per porre rimedio alla solitudine, sostenuta da finanziamenti pubblici e privati. E poi da convincere il governo a nominare per primo al mondo, nel gennaio 2018, un ministro per la solitudine

DALL’AUSTRALIA ALLA FRANCIA. Anche in Australia ora ci si sta valutando l’opportunità di adottare una soluzione simile. Francia, Canada e Stati Uniti stanno disponendo misure governative per affrontare il problema che, anche per via del progressivo invecchiamento della popolazione, di certo non è avviato a risolversi da solo.

CHE SUCCEDE QUI DA NOI? Però noi italiani siamo per carattere più estroversi. Abbiamo un solido tessuto di relazioni familiari e sociali. Ci siamo inventati le piazze proprio per poterci incontrare. Abbiamo paesaggi che allargano il cuore solo a vederli, una cucina così varia e gustosa che accresce il piacere di stare insieme a tavola. E migliaia di cittadine e borghi in cui tutti si conoscono e si salutano. Dunque le cose qui in Italia dovrebbero andare meglio che negli altri paesi, no?

PRIMI IN CLASSIFICA. Eppure no, le cose da noi non vanno meglio per niente. Una ricerca realizzata nel 2015 da Eurostat, l’Istituto europeo di statistica, ci dice che un italiano su otto si sente solo, o perché non ha nessuno a cui chiedere aiuto, o perché non ha nessuno con cui sente di poter parlare dei suoi problemi. Tutto ciò ci colloca in cima alla classifica continentale della solitudine.

PIÙ POVERI E MENO ISTRUITI. Incrociando questi con altri dati, si scoprono due ulteriori fatti significativi. Questo il primo: da noi è la povertà a rendere soli (notate che a scriverlo non è una pericolosa testata estremista, ma il Sole 24Ore, in un articolo assai documentato). Questo il secondo: chi ha una migliore istruzione soffre meno di solitudine. 

SENZA SOSTEGNO. Rispetto al 2015, le cose non stanno certo migliorando. Secondo il Rapporto Istat 2018 (pagina 12), il 17 per cento degli individui si sente privo o quasi di sostegno, mentre oltre la metà degli individui si colloca in una posizione intermedia (55,1%).

PIÙ FRAGILI. Il Rapporto prosegue affermando che nel confronto con l’Unione europea, l’Italia mostra una maggiore fragilità: per tutte le classi di età è più elevata la quota di chi dichiara la percezione di un sostegno debole (15,5 per cento media Ue). La maggiore debolezza del sostegno percepito si osserva nelle aree più densamente popolate ad eccezione delle Isole, dove le differenze per grado di urbanizzazione si attenuano. 

UN SENSO DI GELO. Un curioso e poco noto effetto del sentirsi soli è questo: la diminuzione della temperatura corporea, e quindi una maggiore e reale (non metaforica) sensazione di freddo.

UNA PASSIONE PER I COMPLOTTI. Un altro effetto poco noto (e un ulteriore buon motivo per occuparsi sul serio del tema) è che sentirsi soli incoraggia a credere nelle teorie cospirazioniste. Il motivo è tutt’altro che banale: se ci si sente esclusi e la vita perde di senso, si va a cercare senso altrove, e anche nelle credenze più strane.
Inoltre: il sentirsi soli è connesso con la rabbia e il risentimento, con una sensazione di impotenza, con la paura, con le dipendenze.

CIRCOLO VIZIOSO. Da tutti questi dati emerge un’immagina complessa ma netta. La solitudine, con tutto il suo contorno di rabbia, paura, malattie e perdita di senso, sembra essere una delle componenti di un circolo vizioso che comprende anche povertà, marginalità, minore istruzione. 

UN PROBLEMA SOCIALE. È ovvio: ciascuno individualmente qualcosa può fare per sentirsi meno solo, specie se la sua situazione è transitoria e deriva da una specifica contingenza. Tuttavia la solitudine, sentimento sociale per eccellenza e risultato di specifiche condizioni sociali, va affrontata nel suo complesso e attraverso un sistema integrato di politiche dedicate. 

FARE SUL SERIO. Dunque il problema, che riguarda la salute fisica e mentale collettiva, non si risolve senza investire sull’istruzione e portare la cultura nelle periferie, ridurre l’emarginazione, ricostruire il tessuto sociale lacerato e combattere, sul serio, la povertà. Senza contare che, in un paese più fragile, diventa più fragile anche la democrazia.

6 risposte

  1. AGGIORNAMENTO
    Tratto da Good Morning Italia del 19.04.20

    Fino a poco più di un secolo fa, appena il 5% della popolazione viveva da solo. La norma erano famiglie numerose che abitavano in spazi più o meno ampi, a seconda delle possibilità (New Yorker). Negli Stati Uniti oggi un cittadino su quattro vive da solo. In Italia, nel 2019, un terzo delle famiglie sono composte da una sola persona, dice l’Istat.

    La solitudine e il desiderio di intimità sono condizioni diverse dall’isolamento: quest’ultimo induce uno stato di ipervigilanza e di allarme perché ci troviamo in una condizione contraria alla spinta che ci porta alla socialità. Un meccanismo che, secondo il libro “Together: The Healing Power of Human Connection in a Sometimes Lonely World”, in uscita negli Usa a fine aprile, abbiamo ereditato dai nostri antenati, per i quali l’essere soli rappresentava un serio pericolo.

    Il libro, che racconta anche diverse esperienze di “cura” dell’isolamento messe in atto da individui e comunità, rileva anche quanto il fenomeno sia complesso e, a sua volta, collegato alla complessità del mondo attuale.
    Un tema che è approfondito nel 2019 in “A Biography of Loneliness: The History of an Emotion”. Secondo l’autore, lo storico Fay Bound Alberti, il sentirsi distanti dagli altri non è un fenomeno così facile da definire come “universale”: sia perché nasce appunto con la trasformazione sociale dell’Ottocento, sia perché varia – contando anche sfumature che non sono esclusivamente negative – a seconda della classe sociale, il genere, l’etnia.

  2. Io ( 80 anni)e mio marito ( 87) stiamo vivendo e soffrendo un periodo di intensa solitudine..
    Abbiamo due figlie ormai adulte,una delle quali vive e lavora da parecchi anni a Londra.. l’altra invece, dopo averci fatto trepidare a lungo per la sua vita,sta adesso meglio ed è lei che bada alla gestione della casa, con nostra grande soddisfazione, non solo perchè ci solleva da un peso che per noi sarebbe ormai insostenibile, ma per l’enorme soddisfazione di vederla attiva e in gamba. Quanto a noi, vecchi genitori, facciamo quel che possiamo, e tiriamo avanti, ma non possiamo non ricordare quante persone abbiamo aiutato, gratuitamente, soprattutto negli studi, e che adesso ci salutano appena. Certo, il motivo è che tutti sanno che non possiamo ormai essere più utili, perciò, chi è disutile, è meglio che vada a seppellirsi da solo.

    1. Cara Luisa,
      spero che questa risposta la raggiunga.
      Capisco quanto dice, e posso capire anche la frustrazione e la delusione di aver dato aiuto non ricevendo in cambio nemmeno un po’ di permanente simpatia.

      E, infine, capisco quanto possa essere pesante la solitudine, anche se temperata dalla presenza dei familiari, e dalla soddisfazione per la figlia finalmente in gamba.

      A farle compagnia, però, vorrei che ci fosse anche la consapevolezza di aver fatto tanto, e bene. È una bella soddisfazione, e nessuno gliela può togliere.
      A questa soddisfazione vorrei unire il mio saluto più affettuoso.

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