rancore

Rancore: il brutto sentimento che acceca e paralizza tutti quanti

Spaventati, incattiviti, pieni di rancore e senza prospettive. L’immagine che il recente rapporto Censis disegna degli italiani è davvero poco confortante. Tuttavia, o forse proprio per questo, è stata ripresa e commentata dai media con notevole vigore.

SE IL RANCORE CRESCE. Del resto, di rancore crescente il Censis parlava già un anno fa, nel 2017, in una situazione economica meno drammatica dell’attuale, segnalando che l’immaginario collettivo ha perso la sua forza propulsiva di una volta e non c’è più un’agenda condivisa.

VELENOSO E PARALIZZANTE. Sta di fatto che il rancore è un sentimento proprio schifosetto, e non solo perché il termine rimanda all’idea di qualcosa di irrancidito, cioè di marcio e puzzolente. Nel rancore ci sono insoddisfazione, rabbia, paura e frustrazione: un cocktail velenoso e paralizzante come il morso di un pesce-palla.

IL RANCORE, IN PERSONA. Ora, provate a farvi l’immagine mentale di un individuo rancoroso. Anzi: del Signor Rancore in persona. Forza, provateci. Ve lo siete figurato? E che cosa sta facendo?
Probabilmente non vedrete il Signor Rancore mentre scappa per mettersi in salvo, come può fare una persona terrorizzata. O mentre dà fuori di matto, come può fare un tizio molto arrabbiato. Non so che cosa faccia nella vostra mente il Signor Rancore ma, almeno nella mia, brancola faticosamente lungo i muri, accusando chiunque della propria malasorte e lasciandosi dietro un’ombra verdastra. Alle origini del rancore, non a caso, c’è l’idea di aver subito un’ingiustizia e un’umiliazione.

SCRISSE IL FILOSOFO. Il rancore ha una dimensione sociale. È difficile da gestire. È debilitante. Diminuisce la fiducia in se stessi e negli altri. E si autoalimenta, in una spirale discendente.
Qui brulicano i vermi dei risentimenti di vendetta e di rancore; qui l’aria maleodora di cose nascoste e inconfessabili; qui si tesse senza interruzione la rete della congiura più perfida – la congiura di chi soffre contro chi è ben formato e vittorioso, qui l’aspetto del vittorioso viene “odiato”. E quante menzogne per non ammettere che questo odio è odio! Che profluvio di grandi parole e di  grandi gesti, che arte dell’ “onesta” calunnia! Questi falliti:  quale nobile eloquenza fluisce dalla loro labbra! Questo è Nietzche, nel 1887.

LE DUE PARTI DEL PROBLEMA. Ma torniamo (con qualche preoccupazione in più) al punto: riconoscerci nel ritratto che il Censis fa di noi potrebbe renderci ancora più spaventati, incattiviti e senz’altra prospettiva che quella rancorosa. La quale, però, è essa stessa parte (non piccola) del problema.
Un’altra parte del problema è che, ce l’ha confermato qualche settimana fa una importante ricerca realizzata da Ipsos, siamo campioni mondiali di percezioni distorte (e negative) per quanto riguarda, per esempio, immigrati, lavoro, criminalità e salute. E queste percezioni distorte sono a loro volta un ottimo alimento per il rancore.

CACCIA ALLE STREGHE. Il Censis propone una definizione suggestiva: sovranismo psichico. Il quale talvolta assume i profili paranoici della caccia al capro espiatorio, quando la cattiveria – dopo e oltre il rancore – diventa la leva cinica di un presunto riscatto e si dispiega in un conflittualità latente, individualizzata, pulviscolare.
In altre, più semplici, parole, il Censis sta dicendo che c’è un simpatico clima diffuso di caccia alle streghe. E tutti sanno che, a furia di cacciare, un’utile strega spunta sempre da qualche parte.

IMPLACABILE MECCANISMO. Fuor di metafora, sto parlando della profezia che si autoavvera, un implacabile meccanismo individuale e collettivo individuato dal sociologo americano Robert K. Merton. Consiste in questo: il modi (negativi o positivi) in cui definiamo le situazioni, e i comportamenti cha attiviamo di conseguenza, determinano gli sviluppi ulteriori rendendoli somiglianti alle nostre previsioni.
Dunque, se siamo fiduciosi e andiamo a caccia di opportunità troveremo opportunità, e se siamo rancorosi e andiamo a caccia di streghe troveremo streghe (e non avremo né le energie né la direzione necessarie per cercare qualcos’altro di meglio per noi).

CERTO: LE COSE NON VANNO BENE. A questo punto mi tocca essere più che chiara: non sto dicendo che le cose vanno bene: economia, lavoro, istruzione (e non solo) non vanno bene per niente. Dovremmo investire tutte le nostre migliori capacità per farle andare un po’ meglio, specie per le tante persone che oggi sono in grande difficoltà.
Ricordo che secondo l’Istat oggi 5 milioni di italiani sono in povertà assoluta (per favore, leggete l’intero articolo linkato). Ricordo che la povertà economica alimenta la povertà educativa, e viceversa. Ricordo che siamo ampiamente sotto la media UE per investimenti nell’istruzione.

REAZIONE FUORVIANTE. Ma la reazione rancorosa distorce, fuorvia e riduce la capacità di visione e di progetto. Esaurisce le forze, azzera la fiducia e ci fa girare a vuoto. Il fatto che ci sia un’epidemia di risentimento anche al di là dei confini nazionali non può consolarci: dovrebbe, anzi, preoccuparci di più. Dovremmo, tutti insieme e rapidamente, trovare modi di reagire più virtuosi e produttivi. Ce la possiamo fare?

L’immagine che illustra questa pagina è dell’artista svizzera Julia Geiser. Qui il suo sito. Qui la sua pagina Facebook. Questo articolo esce anche su internazionale.it

 

4 risposte

  1. Serbare rancore equivale a prendere un veleno e sperare che a morire sia l’altro (William Shakespeare)

  2. Eppure il rancore è quasi per definizione un sentimento che lascia poche alternative.

    La sensazione di rancore deriva dalla percezione di avere subito un torto o una ingiustiza, ma non è stato possibile lottare contro questa situazione.
    A volte si tratta di paturnie mentali, una sorta di dubbio (magari legittimo) sulla propria percezione, ma altre volte l’ingiustizia arriva da chi è più potente in un rapporto asimmetrico – e allora le alternative si restringono.

    Amleto stesso aveva poche alternative al rancore, poi per fortuna si è riscosso ed ha agito: otto cadaveri a scena aperta: un’ecatombe! (cit.)

  3. Grazie. È sempre illuminante e induce alla riflessione, direi alla meditazione, il leggere i suoi articoli.

  4. Ce la possiamo fare?…
    … Sì, se smettiamo di indicare l’altro come causa del nostro male e di avvelenarci per aver provato questo rancore. Se un bimbo cresce senza paragoni offensivi e in piena libertà di esprimersi il rancore non ci sarebbe. Se un bimbo viene apprezzato per com’è, il rancore non ci sarebbe. Se un bimbo può arrabbiarsi senza sentirsi ripudiato e abbandonato da tutti, il rancore non ci sarebbe. Non avrebbe il tempo di attecchire. Ci sarebbe al suo posto la vita con le sue esperienze, belle e brutte. Bisognerebbe investire nell’educare i sentimenti.

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