avversario rivale nemico

Perché il tuo avversario non è il tuo nemico

Vorrei chiarire qui un concetto elementare: senza un avversario non c’è gara e dunque non c’è vittoria. Non c’è merito, né credito, né gloria, né talento. Senza avversari non esistono il calcio e il tennis e la scherma, gli scacchi e la dama, la briscola e il gioco delle bocce, Risiko e Monopoli. Via le Olimpiadi, comprese quelle invernali. Via Sanremo. Via le gare di Formula 1.

GIOCARE UNA PARTITA. In effetti, è solo grazie all’esistenza del tuo avversario che puoi giocare la tua partita. E poi dai, senza il rischio di perdere non ci sarebbero neanche il piacere e l’orgoglio di vincere, no? In effetti, più il tuo avversario è grande, più importante può essere la tua vittoria.

ELIMINARE L’AVVERSARIO. Sembra però che la fantasia di eliminare l’avversario o gli avversari, e di farlo in modo definitivo, stia diventando pervasiva. Nelle tifoserie, comprese quelle genitoriali delle partite di calcetto tra ragazzini. Nella politica, ambito nel quale peraltro l’azzeramento degli avversari nel confronto democratico ha un nome inequivocabile e spaventoso: dittatura. 
Forse abbiamo le idee confuse. Perfino a livello terminologico. Così, tendiamo a identificare ogni concorrente o avversario con un rivale, ogni rivale con un nemico, ogni competizione con un conflitto.

COMPETERE È NATURALE. Parliamo di competizione quando diversi soggetti (entità, individui o gruppi) si propongono di raggiungere un medesimo obiettivo, in una situazione in cui non tutti possono farcela. Competere è naturale, e anche il fatto che siamo nati così come siamo (e non altrimenti) è la conseguenza di una serie di competizioni vinte (e qui non posso non linkarvi questo). Perfino le sinapsi (le connessioni tra neuroni) del nostro cervello sono in competizione tra loro.

NIENTE DI PERSONALE. La competizione ha a che fare la vita, gli esseri viventi e (se diamo retta a Darwin) con l’evoluzione. Riguarda il procurarsi cibo, acqua, territorio, possibilità di accoppiamento, risorse. Ma nel competere non c’è niente di personale: se cibo, acqua eccetera sono abbondanti, non ci sono avversari e dunque non c’è competizione.

COMPETERE O COOPERARE? Per dirla in altre parole: l’idea di base della competizione è che, se qualcosa da vincere c’è, vincerà il più adatto, il più abile, il più meritevole o il più forte, non il più stronzo. Anche la nostra evoluzione come specie si gioca sullo scegliere di volta in volta l’alternativa più opportuna tra competere e cooperare, e magari sull’integrazione tra i due comportamenti  (coopetition).Negli ultimi decenni, peraltro, la componente cooperativa è stata ampiamente rivalutata dagli studiosi.

NON PROPRIO SINONIMI. I termini antagonista, avversario rivale vengono considerati sinonimi, e nell’uso corrente lo sono. Così come senza avversario con c’è gara, senza antagonista non c’è storia: se togliete di mezzo la balena bianca, Achab se ne resterà a ubriacarsi in qualche sordida taverna di Nantucket, e voi non potrete più leggervi quel capolavoro che è Moby Dick.

RIVALI PER UNA VITA. Ma “rivale” ha, mi sembra, una sfumatura differente, e implica un antagonismo protratto nel tempo, interiorizzato e radicato tanto da durare perfino quando i motivi originari della competizione (anche quest’altro link cinematografico è d’obbligo) sono ampiamente superati e, forse, dimenticati. 
E qui sì, si tratti di individui o di gruppi, c’è qualcosa di personale, che riguarda l’identità. Contrastiamo un rivale non solo per quello che di importante può sottrarci, ma anche per quello che è, e che rappresenta. 

SCELTE AVVENTATE. Ci può essere rivalità tra fratelli e tra compagni di partito, tra squadre, tra artisti, tra imprese, tra città o tra nazioni. Proprio perché la rivalità è personale è così facile che nasca dalla contiguità.

COMPETIZIONE DELLE IDEE. Proprio perché la rivalità nasce dalla contiguità, è facile che, nella competizione delle idee, proprio i più contigui per posizioni si trasformino da avversari in rivali.
La rivalità spinge a dare il massimo e non mollare (questo può essere un vantaggio) ma anche ad agire in maniera stupida, avventata, ostinata o eccessiva, e ad assumere livelli maggiori di rischio quando si prendono decisioni. 

DA RIVALE A NEMICO. Inoltre, a trasformare un rivale in un nemico contro cui armarsi e combattere, ci vuole in attimo. E può bastare una quantità anche omeopatica di paranoia. Così – ne abbiamo già parlato – ci si trova infilati in una escalation conflittuale da cui diventa impossibile uscire. Alla fine, bum!, perdono tutti. Meglio starci attenti.

IMPARARE A DISTINGUERE. Dovremmo, ogni volta che ci troviamo coinvolti in una contesa, capire se chi abbiamo di fronte è oggettivamente, situazionalmente un avversario, un rivale o un nemico. Spesso, per esempio, la rivalità tra persone o gruppi che pur condividono idee, obiettivi e visione del mondo è così potente e sanguinosa da lasciare poi tutti i contendenti inermi davanti ai veri, comuni nemici. E questo non è sensato.

COMPORTAMENTI PARADOSSALI. Un’altra cosa a cui bisognerebbe stare attenti è il comportamento paradossale di chi, dopo aver artificiosamente identificato l’avversario con il nemico, sogna di vaporizzarlo. O di asfaltarlo, di azzerarlo… scegliete voi il termine: vi verranno in mente diversi esempi.
E dall’altra sente il bisogno di inventarsi o reinventarsi ogni giorno un nuovo nemico, e va a sceglierselo, ovviamente, inerme e impossibilitato a combattere ad armi pari.

GAREGGIARE LEALMENTE. Dai, diciamolo: questo è un comportamento da vigliacchi che evitano di gareggiare lealmente, e da sbruffoni che sentono tuttavia il bisogno di battersi i pugni sul petto strillando ho vinto, ho vinto.

Una versione più breve di questo articolo esce su internazionale.it

5 risposte

  1. Quando parli di eliminare un avversario mi viene anche da pensare alla competizione tra aziende nella conquista di una fetta di mercato.

    Quando un’azienda acquisisce un’azienda avversaria e crea un monopolio.

    grazie per i tuoi fantastici articoli!

  2. LA PARTITA NON È LA VITA. Nell’attività sportiva a squadre o a due competitori, e persino nel gioco del solitario, sia il campo sia le regole di gioco sono prefissate. Tempi, posizioni e atti sono verificati e considerati leciti solo se si rifanno al manuale di gioco e lo rispettano totalmente. Quando la competizione non è un gioco, (e non va quindi ad occupare quello spazio sociale interstiziale detto appunto gioco e che negli accoppiamenti meccanici, come ad esempio fra dado e bullone, ha lo stesso nome ed è definito da tolleranze) le regole ed il campo d’azione si determinano e rideterminano nel tempo, durante l’azione, in modo continuo. Nel mondo reale la competizione non ha un inizio e neppure una fine, ha solo delle tappe. Per questo quando sento i politici (quelli che nel post sono presenti sotto traccia e anche quelli citrulli precedenti, vittoriosi al quarantadue percento) affermare di aver vinto, mi chiedo se hanno compreso il loro ruolo o non sarebbe stato meglio si fossero dati all’ippica.
    CONCORRERE. Competere per un posto di lavoro, per un incarico, per un affare economico, oppure a Grandi fratelli, talent-show e master chef ci ha convinti che concorrere significhi lottare uno contro l’altro armati, a dimostrare la propria superiorità con tutti i mezzi.
    Può esserci un’altra accezione per il verbo concorrere ed è concorrere a, correre insieme.
    Ragioni economiche e finanziarie, di poteri soverchianti e di consuetudini spesso generano condizioni sociali pesantemente squilibrate, dove la concorrenza non è la contribuzione delle diverse forze verso l’eccellenza ma la sottomissione ad alcune esigenze prioritarie, non dei cittadini ma proprie del sistema politico ed economico, che in tal modo non può che generare mediocrità e miserabile squilibrio.
    È solo il ruolo concorrente, partecipante e mirante ad obiettivi comuni di ogni cittadino che potrà darci soluzioni nuove, orientate all’eccellenza, alla resilienza e a al benessere collettivo.

  3. …. Sempre a proposito di gioco in meccanica (e nelle competizioni) trovo molto interessanti i termini di misura e di quota, oltre che di tolleranza. Su, bambini, giocate ma senza esagerare, datevi una regolata! Chissà se i nostri giocatori lo faranno e chissà cosa ci toccherà ancora nelle prossime settimane!

  4. Si sono cose interessanti però più importante e il gioco che. Decidiamo di giocare, la sfida che si accetta non e sempre contro un avversario reale molte volte , e contro noi stessi. Contro un aspetto della nostra natura che che a volte ci determina in modo errato , o che ci allontana dal gioco che vogliamo veramente giocare…il gioco della vita , forse quello più importante.

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