Che cosa è il crowdsourcing

Che cosa è il crowdsourcing e perché funziona – Idee 62

Il crowdsourcing è un modo di lavorare che fino a poco più di quindici anni fa non esisteva, e che fino a dieci anni fa non aveva neanche un nome. Wikipedia, fondata nel 2001, continua a essere il risultato più noto e globale, almeno fino a oggi.
Internazionale vi racconta che cosa è il crowdsourcing e come nasce. Il giornalista di Wired Jeff Howe, inventore della parola crowdsourcing nel 2006, ne stabilisce le prime coordinate in questo video del 2008: è un lavoro collettivo, svolto da comunità virtuali e spontanee di non specialisti.

CHE COSA È IL CROWDSOURCING OGGI. Mi sembra che il crowdsourcing stia prendendo tre strade diverse:
a) Molta gente che offre molti contributi tra cui scegliere (magliette, foto, pubblicità, loghi, idee per prodotti, spesso a pagamento. E a volte a prezzi stracciati e con qualità non alta. Ma c’è anche una buona fetta di volontariato).
b) Molta gente che partecipa gratis alla soluzione di un singolo problema troppo ingarbugliato per essere risolto altrimenti.
c) Molta gente che dà il proprio contributo alla realizzazione di un’opera collettiva.
Le tendenze b) e c) hanno, credo, potenzialità grandi, difficili perfino da immaginare. Per capire più in profondità non solo che cosa è il crowdsourcing, ma soprattutto che cosa può diventare, dobbiamo osservarne i meccanismi più in dettaglio.

SCIENZA E SOLUZIONE DI PROBLEMI. Il crowdsourcing del tipo b) sta cambiando il modo di fare scienza. Guardate, per esempio, Zooniverse, che chiede una mano per scoprire pianeti, o per ascoltare le balene, per costruire un modello del clima globale, per trascrivere e catalogare un testo in greco antico tratto da un frammento di papiro.
Ma la storia più emozionante è quella di Foldit, un videogioco sperimentale inventato dall’università di Washington. Riguarda la progettazione di nuove proteine utili per la ricerca medica, delle quali bisogna trovare la struttura ideale. Una faccenda troppo complicata perfino per i computer ma non per i navigatori, che hanno già ottenuto diversi successi. L’ultimo, nel gennaio 2012, mostra che cosa è il crowdsourcing davvero e quali risultati può ottenere, convincendo Nature a titolare Victory for crowdsourcing biomolecule design (e ricordate che è una victory ottenuta da non specialisti).

ARTE E OPERE COLLETTIVE. Appartiene invece al tipo c) l’esperimento di Aaron Koblin (il direttore creativo del Data Arts Team di Google) intitolato The Johnny Cash Project: un videotributo al quale potete partecipare disegnando un fotogramma o aiutando a selezionare i frame migliori: cliccate explore o contribute, e divertitevi. Molto più ambizioso è  Life in a day , il primo social movie della storia del cinema. Si tratta di un progetto prodotto da Ridley Scott con la regia di Kevin Macdonald: 95 minuti di documentario montato a partire da 4500 ore di riprese tutte fatte nello stesso giorno, il 24 luglio 2010, con il coinvolgimento di 80.000 persone appartenenti a 140 nazioni.
Il risultato è davvero notevole: l’edizione integrale è su YouTube, e vi suggerisco di dedicarle  un po’ del vostro tempo.

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DUE NOTE DI METODO.  il crowdsourcing b) e c) da una parte chiede un potente sforzo creativo preliminare riguardante la struttura, i vincoli, gli obiettivi ai quali poi molti saranno chiamati ad aderire. Una sorta di meta-creatività, insomma, che riguarda la necessità di organizzare il lavoro collettivo in modo da ottenere da ciascuno  risultati utili a essere collocati in un progetto più ampio.
Dall’altra, il crowdsourcing orienta la creatività dei moltissimi co-autori in termini di produzione di materiali integrabili, sacrificando per certi versi l’originalità del singolo contributo individuale alla modularità.
Sono molto curiosa di vedere quel che succederà nei prossimi anni, in quali ambiti, con quali soluzioni. E voi, che ne pensate?

9 risposte

  1. Gran bell’articolo. Finalmente una sintesi di ciò che il crowdsourcing è realmente e – soprattutto – di quali siano le sue immense potenzialità se utilizzato in modo consono. Purtroppo un modello decisamente in voga – e che io odio con tutto il cuore, se mi passate l’espressione – è quello ibrido tra la strada A e quella B. Una soluzione decisamente deleteria: partecipazione gratuita alla soluzione di “problemi”, tendenzialmente correlati alla comunicazione, di un cliente. Di piattaforme così ne esistono molte, troppe. Il numero dei partecipanti è elevato, la qualità molto spesso no. Il vincitore è uno solo, sempre che il cliente non abbia il diritto di non utilizzare – e non remunerare, quindi – alcuna delle soluzioni proposte. Questo è un crowdsourcing che io definirei, più correttamente, una semplice gara/concorso online. Si spera vivamente che il crowdsourcing di cui alle ipotesi B e C diventi, alla lunga, l’unico a sopravvivere.

  2. ci vedo ottime prospettive per l’arte e la cultura, che attualmente soffrono per la restrizione del finanziamento, sia pubblico che privato patrizia perugini

  3. Copioincollo il commento di Alfredo Accattino sulla pagina Creativi di FBook, che aggiunge un’altra prospettiva. Grazie Annamaria della tua sintesi su un termine/fenomeno/processo su cui molto parlano senza aver cercato di capire motivazioni e potenzialità. E che ora viene demonizzato, anche su questa pagina, come simbolo dello sfruttamento creativo. In realtà stiamo parlando di un mezzo più avanti rispetto alle nostre teste e al nostro modo di pensare, oggi rovinato da speculazioni che hanno utilizzato negli ultimi anni i contest come canale di comunicazione buzz sul prodotto, non come soluzione creativa ai problemi. Io credo che il CRWS sarà fondamentale per sviluppi di prodotti complessi, per il mercato televisivo (nasceranno canali wiki e crws), per la ricerca scientifica, per la cultura e per la comunicazione. E per me, fra 5 anni, il 30% del mercato della comunicazione sarà gestito così. Porterà crisi? No. Perché aprirà a molti le porte, e perché serviranno nuovi professionisti e nuove professionalità per la gestione dei processi. Amen.

  4. Convengo con il commento di Alfredo Accattino. come sempre però le distorsioni di tali metodologie sono molto evidenti soprattutto in Italia. La prima che mi viene in mente sono le finte gare vestite da attività di crowdsourcing. La seconda i portali tipo bootb o zoopa e quant’altri che usano spesso i graphic-designer come gratis-designer facendo credere che entrare in gara, poi non si sa con chi, sia bello. Ricordo ancora le pagine di un libro di Livraghi sulle gare. “non si possono fare gare perchè non si può fare una buon lavoro senza incontrare il cliente, capire i bisogni guardarsi negli occhi”

  5. Ciao a tutti, ho scoperto da poco una nuova piattaforma di crowdsourcing capace di aggiungere il lato umano all’attività degli sviluppatori. Si chiama Amazon Mechanical Turk. Mentre facevo ricerca ho scoperto che Aaron Koblin (citato nell’articolo di Annamaria) l’ha utilizzata per realizzare due lavori partecipativi molto interessanti “The sheep market” nel 2006 e Bicycle built for two thousand nel 2009. Ne ho scritto nel mio blog, leggete se vi va http://partecipactive.com/2012/02/26/amazon-mechanical-turk-il-lato-umano-e-lutilizzo-creativo-di-un-crowdsourcing-marketplace/ Matteo Righi

  6. BELLISSIMO TUTTO! Non vi preoccupate, ma io mi entusiasmo facilmente…

    Conoscevo il Flash mob che, credo, sia parente del crowdsourcing.

    Ora però (la mia mente ruzzola e rimurgina), mi chiedo e soprattutto VI chiedo, come posso utilizzare questa grandiosità nei laboratori di scrittura che svolgo GRATUITAMENTE per l’associazione Altramente scuola per tutti?
    Attendo lumi (*_))

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