evolutionary mismatch - disallineamento evolutivo

Il disallineamento evolutivo e il troglodita che c’è in noi

Dai vaccini alle nuove tecnologie, il futuro ci obbligherà a fare scelte difficili, a partire da un’accorta valutazione dei rischi. Ma il nostro cervello da Età della pietra è poco attrezzato per compierle.  A scrivere tutto ciò è Axios Future, la sintetica newsletter che Axios dedica al racconto delle tendenze più rilevanti.
Ma che significa, propriamente, “cervello da Età della pietra”?
In parole semplici, vuol dire che c’è un disallineamento evolutivo (evolutionary mismatch) tra la complessità che il nostro individuale cervello riesce ad affrontare e a elaborare efficacemente, e la complessità del mondo che la somma degli sforzi dei cervelli dell’intero genere umano ha saputo costruire negli ultimi diecimila anni.
Da quando, cioè, abbiamo smesso di essere cacciatori-raccoglitori.

GLI ANTENATI PALEOLITICI. Ecco: circa diecimila anni fa siamo diventati agricoltori stanziali. Per poi inventare (in un batter d’occhio, se pensiamo ai due milioni e mezzo di anni precedenti: l’intero Paleolitico, durante il quale abbiamo solo cacciato e raccolto). Dicevo: per poi inventare le città e la scrittura, le lenti e gli orologi meccanici, la macchina a vapore, i gelati, gli aerei, gli uffici e i grattacieli, i computer, il web e tiktok.
In sostanza, l’evoluzione tecnologica è andata infinitamente più veloce dell’evoluzione organica, che modifica i nostri corpi, cervello compreso, adattandoli alle mutate condizioni ambientali. E che è lenta, lenta, lenta. Questo vuol dire che i cervelli umani contemporanei continuano a funzionare in modo pressoché uguale ai cervelli degli antenati paleolitici.  Eccolo qui, il disallineamento evolutivo.

AUTOMATISMI DI BASE. Certo, nelle nostre menti oggi c’è un’enorme, ulteriore quantità di cultura, e un’enorme, ormai esagerata quantità di informazione, che ci ingegniamo di elaborare. Ma diversi automatismi di base sono rimasti identici a quelli che per due milioni e mezzo di anni hanno efficacemente permesso ai nostri antenati di salvarsi la pelle.

DOLCE E GRASSO. Le conseguenze sono molteplici. Possono, per esempio, riguardare le preferenze alimentari (la passione esagerata per i cibi dolci o grassi è un retaggio dei tempi in cui il cibo era scarso, era reale il rischio di carestia, ed erano preziose le calorie). O possono riguardare il fatto di riuscire a gestire un numero limitato di relazioni sociali (circa 150: la dimensione massima di un gruppo di cacciatori-raccoglitori).

MASCHI GROSSI E PRESTANTI. Altre conseguenze sono ancora più curiose: per esempio, gli psicologi evoluzionisti ci dicono che ancora oggi assegniamo più volentieri ruoli di comando non solo ai maschi, ma ai maschi più alti della media, proprio come facevano i nostri antenati. E come fanno tuttora i gorilla.
L’idea, ovviamente, è che all’intero gruppo convenga farsi guidare dal maschio più grosso e prestante, quindi più capace di agitare la clava contro gli aggressori. E di bastonarli ben bene.
In questo contesto, il fatto che a esercitare qualche forma di comando possa oggi essere una donna, e magari una donna dalla struttura fisica minuta, esprime tutto il suo rilievo di rivoluzionaria conquista culturale. Prendiamone buona nota.

LA DIFFERENZA FRA TRAFFICO E MAMMUT. Ma il disallineamento evolutivo è anche alla radice della tendenza a reagire immediatamente, nelle situazioni stressanti, con un comportamento che prevede due sole opzioni: o l’attacco, o la fuga (fight or fligt). Qualcosa di perfettamente sensato nel Paleolitico, e di fronte a un mammut, a un orso o a un rinoceronte lanoso. Qualcosa di totalmente insensato quando ci troviamo, per esempio, intrappolati in un ingorgo di traffico e siamo in drammatico ritardo. E no, accelerare il battito cardiaco, stringere il volante e serrare i denti non serve. Così come non serve suonare il clacson e strepitare maledicendo questo e quello. Eppure.

STRESS CRONICO. Ecco due ulteriori dati interessanti: l’inadeguatezza della reazione di attacco o di fuga alla molteplicità delle odierne occasioni di stress è possibilmente una delle cause della cronicizzazione dello stress medesimo.

MECCANISMI PRIMITIVI DI SOPRAVVIVENZA. E poi: giocare in maniera intensiva ai videogame sembra provocare, attivando l’automatismo della reazione di attacco o fuga, una sovrastimolazione che poi non riesce a scaricarsi in un’azione fisica (beh, lì davanti c’è solo uno schermo, e niente mammut). Eppure, nel gioco, i meccanismi primitivi di sopravvivenza si attivano, e crescono i livelli di adrenalina e dopamina, che restano in circolo anche a sessione terminata. Nel tempo, tutto ciò può tradursi in un deficit di attenzione e in una minore capacità di gestire gli impulsi e governare le emozioni.

ALTRUISTI, MA NON CON TUTTI. Ancora a proposito di sopravvivenza: un altro meccanismo assai primitivo (lo condividiamo con molte altre specie viventi) riguarda la propensione ad avere comportamenti altruistici e protettivi, ma solo in certi casi. È la selezione parentale (kin selection). La quale prevede – cito la Stanford Encyclopedia of Philosophy) che gli individui abbiano maggiori probabilità di comportarsi altruisticamente nei confronti dei loro parenti che nei confronti di membri non imparentati della loro specie. Inoltre, prevede che il grado di altruismo sarà tanto maggiore quanto più stretta è la relazione.

ECCESSO DI VIGILANZA E COMPLOTTISMO. Infine: il disallineamento evolutivo, e il fatto che diamo retta troppo volentieri al nostro io paleolitico, può disorientare le nostre decisioni. Ed è questa, forse, la cosa più preoccupante.
Per esempio: per i nostri antenati cacciatori, immersi in un ambiente violento e pericoloso, restare costantemente vigili era vitale. Ma proprio dal permanere di un’eccessiva attitudine a essere vigili e a rilevare minacce deriverebbe la contemporanea, pervasiva propensione a teorizzare l’esistenza di complotti anche quando non ce ne sono.
Nel Paleolitico tutto ciò aveva un senso, perché era molto più pericoloso ignorare una minaccia esistente che rilevarne, sbagliando, una inesistente. Oggi succede il contrario e, dicono i ricercatori, un eccesso di diffidenza (per i governi, la politica, i media, i farmaci, gli estranei…) porta a prendere decisioni sbagliate e dannose per il benessere, la sicurezza e la salute individuali e collettive.

CONTROLLARE IL TROGLODITA. E ancora: pretendiamo che le soluzioni siano semplici e rapide, anche quando i problemi sono complessi. E siamo (ne abbiamo già parlato) più sensibili e reattivi ai rischi immediati e visibili che a quelli futuri. Atteggiamento che funzionava molto bene davanti all’orso paleolitico, ma che poco ci aiuta ad affrontare, per esempio, l’emergenza climatica.
Dovremmo, dunque, imparare a riconoscere il troglodita che è in ciascuno di noi.  È il primo, indispensabile passo per provare, investendo tutto il patrimonio di cultura che abbiamo accumulato, a tenerlo almeno un po’ sotto controllo.

6 risposte

  1. Grazie per la riflessione e gli spunti, come sempre molto interessanti e apprfonditi.
    Pensando al grado di complessità raggiunto e al fatto che l’individuo ‘da solo’ non riesce a gestire mentalmente tutta la complessità attuale, non potrebbe essere una serie di intelligenze messe in rete, a riuscire?
    Forse siamo arrivati a un punto in cui ragionare sull’individuo singolo non è più significativo. Forse, per comprendere, riflettere e agire su questa realtà, l’individuo si deve mettere da parte, affidandosi alla gestione ‘di rete’. Un nuovo organismo, che restituisce agli individui visione e capacità, e sa padroneggiare il presente.

  2. Ciao Annamaria,
    l’altro giorno non sono riuscito a trattenere il troglodita che c’è in me.

    Breve premessa: odio chi si comporta in modo scorretto in auto, chi suona il clacson, chi non fa passare i pedoni sulle strisce.

    Avevo avuto una mattina molto stressante condita da interazioni lavorative molto tese. Dovevo poi uscire in auto per un impegno personale. Ero in ritardo.
    Il troglodita si stava già sfregando le mani.

    Sono salito in auto. La persona che era con me mi ha visto e mi ha detto: “vuoi che guido io?”. E io (maschio dominante): “no, guido io..”. Ho iniziato a sbuffare per il traffico. Poi ho visto il giallo del semaforo e con sicurezza ho pensato di poter passare.

    La persona che sedeva vicino a me, mi ha detto: “Guarda che non ce la fai, fermati”.
    Non l’ho ascoltata. Peccato che nel frattempo è scattato il rosso.

    Ti lascio immaginare la discussione che è seguita.

    Insomma dopo tante letture e analisi dei bias, ogni tanto il troglodita esce fuori e prende il possesso.

    ciao
    Stefano

  3. Grazie per la riflessione, gradirei sapere se ci sono libri consigliati su questo tema.
    Grazie ancora

  4. Scusa, ma leggendo mi è venuta in mente un’immagine che mi ha fatto sorridere: un uomo preistorico che grida al complotto contro Big-Clava per l’estinzione dei mammut !

    1. Quindi, seguendo la tua “logica”(?), nessuno dovrebbe sospettare di nessuno, pena l’essere tacciato di troglodita complottista, visto l’evidente richiamo delle tue parole riguardo alla situazione attuale. Peccato che però l’onestà non sia diffusa in tutti e ci sia chi i complotti, termine tanto di moda ora, li ordisce per davvero: va da sé che quindi, se ci sono quelli che li ordiscono, poi ci saranno anche quelli che ne intuiscono l’esistenza. Purtroppo il vero troglodita si beve le bugie dei primi e le sputa addosso ai secondi.

  5. Bella riflessione…una gestione di rete presuppone la capacità di cooperare, di uscire proprio da quel loop automatico, primitivo e competitivo che porta a risposte binarie troppo semplici per la complessità attuale…io non lo so se la scuola e la famiglia attuali, nel ruolo di agenzie formative primarie, siano effettivamente sufficientemente adatte a svolgere la funzione di stimolare e accompagnare la costruzione della coscienza individuale e collettiva…non so. Penso che serva l’incontro di due rivoluzioni profonde, dall’alto delle istituzioni e , dal basso , da parte dell’individuo e della collettività, insieme. Discorso lungo, che implica la fatica e il coraggio di dis-sentire, di essere liberi pensatori, profondamente impegnati a promuovere e proteggere la propria e altrui libertà, al di là di favoritismi, privilegi e ricatti possibili.

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