L’emergenza globale del Covid-19 obbligherebbe tutti, governanti e politici, imprese, istituzioni, associazioni e cittadini, a unirsi in un titanico sforzo per pensare a lungo termine, ragionando in una prospettiva sistemica e orientata al bene comune.
Non è vero che tutto tornerà come prima.
Il nostro futuro cambierà per forza. Adesso dovremmo proporci di migliorarlo rendendolo più equo e più sostenibile. Se non lo miglioriamo da subito, peggiorerà.
CONSEGUENZE PRIMARIE ED EFFETTI SECONDARI. Pensare a lungo termine vuol dire proprio questo: prendere decisioni considerandone non solo le conseguenze primarie, ma anche gli effetti secondari. E l’efficacia e la validità nel tempo, in un quadro che comprende tutte le variabili rilevanti: quelle socioeconomiche insieme a quelle ambientali, culturali, tecnologiche, politiche.
CONCEPIRE IL FUTURO. Il futuro è una dimensione squisitamente umana.Solo i corvi e alcune grandi scimmie dimostrano qualche attitudine ad anticipare il futuro, ma stiamo parlando di proiezioni in avanti molto limitate, anche se sorprendenti.
Ciascuno di noi, invece, comincia a concepire il tempo futuro fra i tre e i cinque anni d’età, quando diventa capace di recuperare memorie del passato. E di posticipare una gratificazione immediata per ottenerne una maggiore in seguito.
Il primo a testare questa capacità, all’inizio degli anni Settanta, è stato Walter Mischel, psicologo a Stanford, con quello che poi è diventato uno dei più noti esperimenti della psicologia cognitiva contemporanea.
EMERGENZE. Anche se abbiamo imparato pensare al futuro, riuscirci in situazioni di emergenza o di minaccia ci risulta particolarmente difficile. Un recentissimo articolo, citato anche a proposito del Covid-19, segnala che in condizioni di stress risulta ridotta la capacità di anticipare il futuro in modo flessibile. Con conseguenti impatti deleteri sul comportamento e sulla pianificazione orientata agli obiettivi.
SOLUZIONI RAPIDE. In sostanza, in situazioni di stress pensiamo peggio di quando avevamo cinque anni. Tendiamo semplicemente a reagire cercando il sollievo di una soluzione rapida, quale essa sia, senza stare troppo a ragionare sulle conseguenze ulteriori. E sull’effettiva adeguatezza e sui rischi dell’eccesso di semplicismo quando si affrontano situazioni complesse.
PLEISTOCENE. Daniel Gilbert, psicologo dell’università di Harvard, segnala altri punti rilevanti. Per com’è fatto il nostro cervello, che resta non troppo diverso da com’era nel Pleistocene, siamo capaci di difenderci molto bene da una minaccia chiara e immediata. Ma non da una insidiosa e protratta nel tempo.
Ma non solo: siamo più bravi ad affrontare le minacce umane che quelle non umane. Più bravi ad affrontare quelle istantanee che quelle graduali. Più pronti a opporci a quelle che suscitano la nostra ripulsa morale e il nostro sdegno, e meno a farlo nei confronti di quelle che sono moralmente neutre.
INCALZATI E OSSESSIONATI. C’è un guaio ulteriore: specialmente in ambito politico e aziendale, negli ultimi anni si è persa la propensione stessa a pensare a lungo termine. I politici sono incalzati dalle fluttuazioni settimanali dei sondaggi. Dalla pressione dei social media. Dalle ricorrenti scadenze elettorali, che li portano a prendere decisioni opportunistiche e di corto respiro, valide più in termini propagandistici che di effettiva soluzione dei problemi.
I manager sono ossessionati dalla necessità di fornire buoni risultati trimestrali, e si trovano obbligati a privilegiare scelte puramente tattiche. Le imprese sono costantemente pungolate dalla necessità di sopravvivere in mercati ipercompetitivii.
URGENZA. E tutti noi ci siamo abituati a vivere nell’eterno presente della rete che, appiattendo il passato, accorcia anche la nostra prospettiva di futuro. Siamo più propensi a pretendere soluzioni istantanee che a pazientare per ottenere soluzioni durature e di valore. Inoltre: molte persone sono in oggettive condizioni di precarietà, e quindi di urgenza. Ma l’urgenza stessa diventa spesso una scusa per trascurare rimedi strutturali e accontentarsi di interventi-tampone.
CAOS DECISIONALE. Infine, diversi bias cognitivi (interpretazioni ingannevoli di dati sballati) sono sempre in agguato, a rendere ancora più ondivaghi gli orientamenti dei decisori. Ed eccoci qui, travolti da un caos di decisioni parziali e contraddittorie, della quali è difficile ricostruire la logica o la finalità. In balia del rischio di decisioni prese troppo in fretta, per motivi sbagliati, su dati parziali e non significativi. O di “piccole” decisioni in apparenza poco rilevanti, alcune delle quali (l’abbiamo visto) possono avere conseguenze catastrofiche.
BREVETERMINISMO. Del breveterminismo che da tempo pervade la sfera pubblica e imprenditoriale, e che ha ostacolato, per esempio, gli investimenti nella sicurezza e nella sanità, nell’istruzione e nella manutenzione infrastrutturale, parla il futurologo Ari Wallach in una visionaria Ted Conference del 2016.
È lo stesso breveterminismo che ha impedito per anni alla politica e ai governi di contrastare seriamente l’emergenza climatica (ne parla un lungo articolo sul sito della BBC). E che sembra oggi impedire di affrontare in modo coraggioso e lungimirante l’emergenza Covid-19.
PENSARE A LUNGO TERMINE. Wallach propone di adottare tre nuove prospettive di pensiero: ragionare in termini transgenerazionali, anche nelle decisioni più minute.
E poi: abbandonare la prospettiva tecnocentrica, perché la tecnologia da sola non può risolvere i maggiori fra i problemi che abbiamo. Infine: imparare nuovamente a ragionare in termini teleologici – cioè riguardanti i fini ultimi. Quelli che perseguiamo quando prendiamo decisioni in una prospettiva che va oltre la durata stessa delle nostre vite.
ALTRE EMERGENZE. A quest’ultimo proposito, segnalo sommessamente che questa è stata la primavera più secca degli ultimi 60 anni, in un paese che per il 20 per cento è già a rischio desertificazione. Giusto per ricordare che l’emergenza Covid-19 maschera, ma non cancella altre gravi emergenze sistemiche.
Articolo interessante e con molti spunti per riflettere e considerare e riconsiderare il nostro modo di pensare, parlare e agire.
Non sarà più come prima ? ..Si perché sarà meglio di prima. Meglio se :
– avremo identificato i nostri veri valori
– avremo chiarito la nostra mission e vision personale ed aziendale
– avremo capito quanto importanti sono le relazioni con le persone nella vita privata e nel business.
Meglio perché se il passato non può essere cambiato il futuro è nel nostro potere, viviamo il presente e costruendo il nostro futuro !
Gentile sig.ra Annamaria,
spero di non andare fuori dal seminato se le chiedo il motivo per cui ha cambiato il bellissimo font che usava prima. Grazie
Gentile Lorenzo,
la ringrazio per l’attenzione – anche agli aspetti formali – con cui segue NeU.
In precedenza NeU usava un font non graziato, con un corpo e un’interlinea minori.
Il motivo del cambiamento è semplice: cercare una buona mediazione tra la leggibilità sullo schermo di un computer e quella sullo schermo minuscolo di un telefono cellulare. Aumentando il corpo, si è anche reso necessario abbandonare l’impaginazione a pacchetto per una a bandiera.