Vorrei pensare ad altro, parlare d’altro e scrivere d’altro. Ma farlo adesso mi sembra, più ancora che difficile, incongruente.
È un pomeriggio di sole. L’aria è tiepida e immobile. Ho già sgranato la prima metà del rosario quotidiano di dati, notizie e opinioni che, della pandemia, delineano gli aspetti medici, epidemiologici, sociali, psicologici, economici, politici, nazionali e internazionali. Verso sera si ricomincia.
Come si fa, a ricostruire un senso?
TESTIMONE. Sto affacciata sul cortile e tengo in mano una biro e un blocchetto preso mesi fa in un albergo di un altro continente, quando il mondo era diverso e viaggiare era normale. Tento un elenco di argomenti, ma è un’infilata di porte chiuse.
So che, prima o poi, una porta si apre. Ce n’è sempre una che si apre.
Devo solo essere paziente e restare attenta abbastanza da intravedere lo spiraglio.
Una sirena. Lacerante è la parola esatta, in questo silenzio.
Non sono più uscita di casa da metà marzo, mai: l’onere e il privilegio della spesa spettano a mio figlio. Sono testimone di un fatto epocale, e lo sono restando chiusa tra quattro mura, nel bel mezzo del vuoto che è il centro di Milano. Sentendomi scorticata dalle immagini e dalle storie che mi grandinano addosso da tutti gli schermi.
Ogni tanto, cerco di ricordarmi che ho l’immenso privilegio di respirare.
RICOSTRUIRE UN SENSO. Leggere e scrivere e continuare a farlo è la mia cura, e la mia strategia per ricostruire costantemente un senso. Un modo per mettere ordine nei pensieri, così come metto ordine nelle stanze o lucido alla perfezione il lavello della cucina.
Sul blocchetto che viene da un altro continente ho scritto: “senso > costruzione, necessità”.
Sarà il mio spiraglio di oggi.
Passa un elicottero. Vola bassissimo, in cerchi stretti. Il rombo risuona nello spazio chiuso del cortile. Un merlo si posa sul davanzale a meno di un metro dal mio naso.
È elegante e spavaldo. Bellissimo.
CONDIZIONE UMANA. Senso è, credo, una delle parole-chiave della condizione umana. E della cognizione umana. Tuffarsi nella molteplicità dei suoi significati è compiere un viaggio dentro la propria molteplicità.
LE PERCEZIONI. In termini fisiologici, sono i nostri “organi di senso” a percepire frammenti di mondo (immagini, suoni, odori…): stimoli che il nostro cervello seleziona e poi ricompone nel mosaico che noi chiamiamo “realtà”, e che, a voler essere precisi, è solo una rappresentazione della realtà. Una, fra le infinite possibili.
LE EMOZIONI. In termini psicologici, diciamo “senso” per indicare una nostra condizione emozionale soggettiva. Così, possiamo provare un senso di benessere, di esaltazione, o di panico, o di disgusto, o di noia.
LE COGNIZIONI. In termini cognitivi, e a proposito di un fenomeno o un discorso, diciamo “senso” considerando il contesto e la struttura, la coerenza e le conseguenze. Parliamo di senso logico, di senso stretto e di senso lato, di senso comune e di buonsenso, e anche di controsenso o di nonsenso. E diciamo “sesto senso” per indicare l’intuizione che precede la ragione.
I VALORI. In termini valoriali, “senso” sta a indicare l’orientamento interiore che ci guida nel giudicare giusto, opportuno e buono qualcosa. Parliamo, per esempio, di senso estetico, etico, critico. Di senso materno, del dovere, della giustizia. Diciamo “a senso di legge” e sosteniamo che può esistere un senso di predestinazione.
Quando cerchiamo il senso di quanto succede e ci circonda, ricongiungiamo tutti i significati della parola: percezioni, emozioni, cognizioni e valori.
LA RICERCA DEL SENSO. Ne Il cervello, la mente e l’anima, Edoardo Boncinelli scrive che ai livelli mentali che noi consideriamo superiori, come l’interpretazione, il ricordo, l’accostamento e l’ideazione, noi operiamo in continuazione prolungando, integrando, componendo e scomponendo secondo schemi significanti. Si direbbe quindi che la ricerca del senso e del significato sia una nostra necessità fisiologica, e che la stessa necessità condizioni tutti gli eventi della nostra vita psichica.
In sostanza, il senso non è qualcosa esiste in sé. È qualcosa che ciascuno di noi per necessità costruisce e ri-costruisce, aggiungendo in continuazione nuovi elementi (accadimenti, informazioni, esperienze).
QUELLO CHE SUCCEDE DOPO. Il merlo è volato via da un po’. Faccio una passeggiata per casa. Avanti e indietro, sorvegliando il contapassi del cellulare, come un criceto nella sua ruota. Mi fermo per scrivere: “Mandela, imparare”.
Il fatto è che mi è tornata in mente una di quelle citazioni edificanti che circolano in questi giorni: io non perdo mai. O vinco, o imparo.
Talmente edificante che non so ancora se avrò il coraggio di trascriverla. Però, dai, dice esattamente quello che vuole dire.
L’ORIZZONTE DEL SENSO. La cosa straordinaria della nostra costante propensione a costruire e ricostruire un senso è che quello che succede “dopo” può riconfigurare anche radicalmente il senso di quello che è successo “prima”.
Così, una tragedia globale come questa (che resta una tragedia globale) può acquistare nuovo senso se, insegnando qualcosa a tutti quanti, diventa anche l’inizio di un cambiamento radicale.
La donna-criceto vide che il merlo era atterrato di nuovo sul davanzale e rallentò per non disturbarlo. Scrisse in stampatello maiuscolo SENSO COMPLESSITÀ. Poi continuò a elencare.
COME RICOSTRUIRE UN SENSO. Ci sarebbe una quantità di nuovo senso da espandere o ricostruire.
Per esempio, il senso della complessità: abbiamo reti logistiche e digitali che coprono il pianeta e avvicinano ciascun punto a ogni altro, legando noi tutti quanti insieme come mai è successo prima e connettendo anche i nostri destini.
C’è il senso critico, indispensabile per contrastare la quantità di notizie false o faziose che trasformano la complessità in caos.
E poi: c’è il fondamentale senso di responsabilità, perché – l’abbiamo ben visto – singole scelte possono avere conseguenze che riguardano moltitudini.
Senza un forte senso di solidarietà non usciremo dalla pandemia né dalla conseguente crisi economica, e non ci proteggeremo dalle crisi globali prossime venture, prime fra tutte l’emergenza climatica.
Infine: il senso del limite. La biosfera si regge su equilibri fragili e instabili. Nello stesso modo funziona il corpo di ciascuno di noi. Non disponiamo di risorse infinite. E il troppo, in qualsiasi ambito, è tossico. Riusciremo mai a essere meno avidi?
La donna-criceto pensò che poi, arrivata la sera, avrebbe scritto per bene tutto questo. E che, chiusa tra quattro mura, poteva solo sperare che le parole potessero volare, come fanno i merli, oltre il cortile.
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L’immagine che illustra questo articolo è del bravissimo fotografo concettuale americano Logan Zillmer. Qui il suo sito. Qui la sua pagina Facebook.
Questo articolo esce anche su internazionale.it
Cara Annamaria,
in questo periodo confuso le tue parole e pensieri agiscono da medicina e conforto. Abbiamo e avremo un gran bisogno di ricostruire il senso del nostre essere al mondo, alla luce di quanto è successo e succederà.
Annamaria ci ha restituito, nel suo solito modo strabiliante, l’insensatezza del tempo fermo. E l’imperativo comune di ricostruire un orizzonte di senso, che ora non s’intravvede.
Come quella volta che, partito da Milano verso le 23, immerso nella nebbia totale –a quei tempi c’era ancora la nebbia–, dopo centoventi chilometri a seguire le tracce approssimative lasciate nella brina da chi mi aveva preceduto, sono arrivato a casa, stremato, alle 5 del mattino? No. Questa volta, stranamente ho una visione chiara.
Fra passato e futuro, fra ragione ed emozione, sono riuscito a ricomporre con pazienza un orizzonte di senso analitico, non sconvolto più di tanto dalla pandemia.
Nel nostro tempo il campo d’interesse è la sola contemporaneità. È il presente al centro del mondo, la storia è solo un inutile passato, il futuro una conseguente continuazione del presente delle meraviglie. Consumatori che si scoprono resilienti e non vedono l’ora della fase due, per ricominciare come nulla fosse. C’è però un numero strabiliante di microscopici segmenti di acido nucleico che si è rivelato più consumatore di noi. Ghiotti di cellule dei microvilli polmonari che utilizzano per riprodursi, stufi di pipistrelli, questi intrepidi virus hanno deciso di dimostrarci che la razza umana è una sola.
L’amico Toni invia una organizzata straripante selezione di articoli di dotti dai quali si evince che nulla sarà come prima e in che modo il mondo sarà migliore. Gli ospiti degli infiniti talk tv dimenticano che se la prima regola è stare a casa, la seconda è stare zitti se non si ha nulla da dire. Il web e numerosi cretinetti che si credono spiritosi ci whatsappano idiozie, così è difficile trovare un senso proprio. Mi pare però di riuscirci, forse perché ciò che accade non mi sembra poi così tanto imprevisto, forse per metodo maturato nel tempo. Certo che l’immobilità è snervante come ogni attesa in sala d’attesa. Pazienza, attenderemo, è solo un inizio.