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Conflitti: quando nascono, perché bisogna gestirli e come si può fare

Sappiamo distinguere i conflitti da altre forme di disaccordo?
La diversità di pensiero è fertile, e una divergenza di opinioni o di valutazioni è qualcosa di diverso da un conflitto. Non è un conflitto neppure una discussione serrata, che (se è  condotta con rispetto e onestà intellettuale) può anche trasformarsi in un’occasione di creatività e di crescita per tutte le parti coinvolte.

I CONFLITTI, COME NASCONO? I conflitti nascono quando interagiscono due soggetti interdipendenti. Quando questi hanno valori, sistemi di credenze, interessi e obiettivi divergenti. E quando almeno una delle due parti pensa che l’altra contrasti attivamente i suoi valori, le sue credenze, i suoi interessi e i suoi obiettivi.
Tutto ciò rende difficile trattare un conflitto come se fosse un semplice problema da risolvere. Ma conoscere le dinamiche dei conflitti è importante per diversi motivi.

I CONFLITTI NELLE NOSTRE VITE. In primo luogo, i conflitti fanno parte della vita di ognuno di noi: ovviamente è proprio impensabile che tutti (gli individui, le organizzazioni, le imprese, le nazioni del mondo) abbiano identici obiettivi, interessi e valori.

E, oggi più che mai, è impensabile che tutti (individui, organizzazioni eccetera) rinuncino a promuovere i propri interessi e a raggiungere i propri obiettivi. Dunque, come scrive in un bellissimo saggio Marianella Sclavi, non possiamo esimerci dal suscitare conflitti ma, al tempo stesso, non li sopportiamo.

O SI RISOLVONO, O PEGGIORANO. In secondo luogo, i conflitti (tutti quanti: da quelli familiari a quelli internazionali) o vengono contenuti o risolti, o peggiorano in maniera irreparabile:  un conflitto può infatti accrescersi seguendo logiche proprie, che sfuggono alla volontà e al controllo dei protagonisti.

Per rendersene conto, basta dare un’occhiata al modello di Glasl. Ve ne ho parlato in un recente articolo (se vi è sfuggito potreste leggerlo, prima di proseguire su questa pagina). Ripubblico il modello qui, perché ci servirà nuovamente.
È uno schema che distingue nove fasi consecutive: si comincia con “”tensioni” (fase 1) e si finisce con “entrambi negli abissi” (fase 9). Non è una bella prospettiva.

conflitto modello di Glasl

CONTENERE E RISOLVERE. In terzo luogo: si possono fare diverse cose per contenere i conflitti e per risolverli. Va detto che sulla soluzione dei conflitti si sono scritte migliaia di pagine, prodotte molte teorie e varati una quantità di corsi universitari. Farò del mio meglio per offrirvi almeno qualche suggestione utile.

DUE COSE DA FARE. Un’idea valida è che, in ogni caso di conflitto, ci siano sempre due cose da fare. La prima è riconoscere che il conflitto esiste, e che converrebbe affrontarlo senza aspettare che la situazione peggiori. La seconda è esplorare con onestà e pazienza le preoccupazioni, i bisogni, le istanze che hanno originato il conflitto.

RICONOSCERE. Dicevamo che è importante riconoscere l’esistenza di un conflitto: non tutti sono portati a farlo. Molti ricercatori (tra cui Pruitt e Rubin, nel 1986) hanno contribuito a costruire una mappa che individua cinque diversi stili nell’affrontare i conflitti, e tra questi c’è lo stile evitante: si cambia argomento, si scherza minimizzando, si nega perfino che un problema esista, o si aspetta che le cose si sistemino da sole. Ovviamente, negare che esiste un conflitto non è il modo migliore per avviarsi a risolverlo.

ESPLORARE. Dicevamo poi che il secondo punto è esplorare le origini del conflitto. Per riuscirci c’è, per esempio, una tecnica che si chiama Evaporating Cloud. La tecnica è uno dei sei processi di pensiero compresi nella Teoria dei Vincoli (TOC – Theory Of Constrainsts),elaborata dal guru israeliano del management Eliyahu Moshe Goldratt.

FALLACIE LOGICHE. Qui ci basta sapere che si tratta di esaminare la logica (ed eventualmente le fallacie logiche, pensiero dicotomico compreso) che sta alla base del conflitto, per rompere presupposti e pregiudizi e riconfigurare le percezioni degli antagonisti arrivando a una una decisione fondata sui fatti reali.

È un approccio molto strutturato, che può apparire equo – e quindi rassicurante –  per esempio a soggetti che, appartenendo a una stessa azienda, condividono una medesima cultura.

NIENTE GIUDIZI! Un altro modo per esplorare il problema consiste in quello che Sclavi chiama atteggiamento esplorativo: significa esaminare le diverse posizioni senza esprimere giudizi, dando per scontato che possano esistere più prospettive ugualmente legittime, che potrebbero integrarsi in nuove sintesi, da inventare cooperando.

L’ESSENZIALE FACILITATORE. Ma tutto ciò implica un’attitudine alla comunicazione collaborativa: un modo di interagire che chi è in conflitto non è propenso a praticare, specie se il conflitto è radicato in profonde differenze cognitive e culturali. La presenza di un facilitatore diventa allora essenziale per incoraggiare questa modalità.

STILE NEFASTO. A proposito di comunicare, bisogna anche sottolineare che il linguaggio aggressivo, manipolatorio e screditante impedisce ogni forma di comunicazione collaborativa. Del resto, uno stile aggressivo-intimidatorio è stato codificato e censito nella mappa di cui parlavamo qualche riga sopra. È fatto di insulti, minacce e voglia di prevalere a ogni costo, fino all’intimidazione e alla violenza.

INDIETRO NEL TEMPO. Se ci pensate bene, vi accorgete che entrambi i passaggi (riconoscere che a un certo punto è sorto un conflitto, capire da quali diversi elementi è stato originato) portano indietro nel tempo: a prima che tutto accadesse. È anche un modo per recuperare un po’ di distanza dall’argomento del contendere e per raffreddare gli animi.

CONCORDARE SU QUALCOSA. È, inoltre, un modo per verificare se per caso esiste  almeno un elemento su quale i contendenti potrebbero concordare. Per esempio: “abbiamo visioni diverse tanto da detestarci, ma entrambi vogliamo il bene (…dell’azienda, dell’organizzazione, dei figli, del paese…).”

TENDENZA A RICAMBIARE. Scoprire di avere almeno uno squarcio di visione condivisa invita a passare dalla modalità “combattimento” alla modalità “ascolto”, e questo è un primo ottimo risultato, anche perché le persone (e perfino i contendenti) tendono a “ricambiare per non essere da meno”: se ho la sensazione che qualcuno mi ascolti senza pregiudizi, mi disporrò a mia volta ad ascoltare nello stesso modo.

IL CRUCIALE GRADINO 5. Tutto questo, mi sembra, funziona (e rieccoci al modello di Glasl) nelle prime fasi del conflitto, ma non oltre il cruciale gradino 5: quello in cui si fa di tutto perché l’avversario sia screditato tanto da perdere la faccia.

L’INDISPENSABILE MEDIATORE. A quel punto la fiducia nel dialogo è già svanita, la fase degli atti dimostrativi è già superata, l’avversario ha subito attacchi personali e la violenza dello scontro si è intensificata. Se si è arrivati fin qui per venirne a capo si rende indispensabile la figura terza di un mediatore autorevole. Se no, non se ne esce.

CASCHI BLU. Se il conflitto si intensifica ulterormente, arrivando agli ultimi tre gradini della scala di Gladl, i contendenti stessi sono ormai travolti dagli eventi e impossibilitati a modificare la situazione. L’unica soluzione è un intervento di forza. In altre parole,  che arrivi qualcuno dotato del potere di mettere fine allo scontro: un giudice, un arbitro, i Caschi Blu, perché il disastro ormai non risparmia nessuno.

FLESSIBILITÀ. Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo. Èl’incipit di Anna Karenina, uno dei più famosi dell’intera storia della letteratura. Ecco: anche la soluzione dei conflitti deve tener conto che ciascuno confligge a modo suo, e che quindi la gestione dei conflitti richiede un’alta dose di flessibilità.

PRESERVARE LA FACCIA. Infine, se da tutto quanto avete letto voleste ricavare una sola, singola raccomandazione, suggerirei questa: mai far perdere le faccia all’avversario. I rivali senza volto sono i peggiori.

L’immagine che illustra questo articolo è un quadro  di Roy Lichtenstein del 1962. Qui un video che illustra il lavoro dell’autore. Questo articolo esce anche su internazionale.it

7 risposte

  1. Bellissimi articoli, questo e quello precedente, addirittura più interessanti del solito (e pensavo fosse impossibile).

    Personalmente ho formato la mia ‘ideologia’ sui conflitti sul Perelman-Tyteca, sull’utopia della retorica intesa come ricerca della verità condivisa, sulla convinzione intesa come “vittoria per entrambi”, ma devo dire che questi articoli hanno inquadrato le loro teorie in un campo più vasto, che credo cambierà il mio modo di approcciare le discussioni (e i conflitti propriamente detti).

    Per esperienza personale so che se per trovare un punto comune con la controparte diventa necessario mettersi nei suoi panni, questo significa il più delle volte darla vinta quasi a tavolino: se non si difendono le proprie idee, quando sono giuste, e si accettano a priori quelle della controparte, accettandone le premesse anche se sbagliate, paradossalmente la possibilità di trovare una verità condivisa che abbia un qualsiasi valore, si riducono.

    So che sembra la descrizione di un caso al limite dell’idiozia, ma quando si procede senza mappe si può incappare anche in questo genere di errori di ‘esplorazione’.
    Magari può essere utile ad altri per trovare più velocemente un equilibrio tra la flessibilità necessaria per cambiare le proprie idee quando sono sbagliate e mantenerle solidamente fino a quando non sono confutate.

    1. Ciao Magari.

      In realtà, sono andata convincendomi che in tempi recenti i dibattiti tra persone hanno via via perso l’originaria (e virtuosa) funzione di ricerca di una verità o di una soluzione condivisa: ciascuno sembra avere l’unico obiettivo di prevalere a ogni costo, e con ogni mezzo, sull’avversario.

      Per questo mi sembra incantevole e rara la tua propensione ad accettare le idee della controparte. Poi, ovviamente, anche in questo ci vuole una misura che è sempre difficile da trovare, e che ogni volta sta collocata in un diverso luogo del discorso.

      Un saluto e un grazie per l’intelligenza e l’attenzione con cui partecipi a quella grande chiacchierata pubblica che è NeU.

  2. E’ sempre un piacere leggere quel che scrivi e partire dalle tue parole per approfondire. Grazie mille Annamaria.

  3. Grazie, molte grazie. Come solito, articoli molto interessanti e utili, per chi ha ancora il sano desiderio di confrontarsi, con se stessi e con gli altri. Difficile inoltrare questo ultimo articolo a coloro i quali, tanti pare, ahime’… ( forse malattia infettiva degenerativa??) non hanno piu’ l’umilta’ di ammettere che tutti noi abbiamo bisogno di ricominciare ad ascoltare e di imparare qualcosa davvero, sempre, senza sparare solo giudizi o pseudo informazioni lette Al volo su Wikiipidia, con tutto il rispetto…

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